Bloccati nella trappola della povertà e del clima: la crisi italiana spiegata dall’Istat

 

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I cambiamenti climatici stanno assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, per un Paese in cui sono sempre più numerosi i grandi anziani». Nel mentre, la metà dei giovani mostra almeno un segnale di deprivazione.

Oltre la propaganda del Governo Meloni, quella di un’Italia in vetta all’Europa per crescita economica (non è vero), il rapporto annuale pubblicato oggi dall’Istat mostra un Paese bloccato dalla crisi climatica quanto da crescenti disuguaglianze socioeconomiche.

Grazie alla ripresa post-pandemica, nell’ultimo anno il Pil nazionale ha segnato +3,7%, ma la crescita dell’economia stenta a tradursi in benessere per la società: le opportunità sono per chi è già ricco.

«In Italia il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà (trappola della povertà) è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea», spiega l’Istat, dato che «nel nostro Paese quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria».

Questo significa che, dopo Bulgaria e Romania, l’ascensore sociale più bloccato d’Europa si trova in Italia. E il dato continua a peggiorare: dal 2011 solo la Bulgaria ha fatto peggio.

«Le diseguaglianze strutturali – sottolinea l’Istituto – continuano a rappresentare un elemento determinante e discriminante nelle opportunità che definiscono il destino sociale delle persone. La forza del legame tra condizioni di vita dei giovani e degli adulti e quelli della famiglia di origine è un problema non solo individuale, ma soprattutto collettivo».

Che si abbatte però soprattutto sui più giovani. Sono quasi 5 milioni – il 47,1% dei 25-34enni, individuati come «la classe di età più in difficoltà» – mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere (istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo, territorio).

Basti osservare che tra i 30-34enni che hanno concluso gli studi il 12,1% non ha mai lavorato (7% tra i laureati) e che quasi un quinto dei 15-29enni rientra tra i cosiddetti Neet, ovvero non studia né lavora; anche in questo caso, in Ue solo la Romania fa peggio dell’Italia.

All’altro estremo della distribuzione demografica, la popolazione anziana continua a crescere rapidamente ma è sempre più minacciata dall’avanzare della crisi climatica.

Nell’ultimo anno la popolazione italiana è scesa a 58,8 milioni di persone, con le nascite ridotte di un terzo rispetto al picco del 2008, l’anno della Grande recessione; un quarto dei cittadini (24,1%) è ultra 65enne, mentre gli ultra 80enni sono il 7,7%. Un trend che continuerà anche in futuro, scontrandosi però col clima che cambia.

«Un terzo dell’eccesso di mortalità del 2022 rispetto al valore atteso si concentra nei mesi di luglio e agosto, caratterizzati da un’ondata di caldo anomalo – evidenzia l’Istat – Anche in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre 2022, si è osservato un eccesso di mortalità. Nel complesso, sommando i valori di gennaio, luglio, agosto e dicembre si arriva a 265mila, quasi il 40% del totale dei decessi dell’anno. Negli ultimi venti anni, livelli di mortalità così elevati negli stessi mesi si sono verificati nel 2003, 2015 e 2017, pari al 35% dei decessi annuali».

Non si tratta di fatalità, ma della crisi climatica alimentata dall’uso dei combustibili fossili: «I cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, per un Paese in cui sono sempre più numerosi i grandi anziani e tra essi i soggetti che, per via della loro generale fragilità, sono più esposti al rischio di subire le conseguenze delle condizioni climatiche estreme», certifica l’Istat.

Non a caso «le tematiche ambientali si collocano ai primi posti tra le principali preoccupazioni dei cittadini: nel 2022 oltre il 70% dei residenti in Italia, dai 14 anni in su, considera il cambiamento climatico o l’aumento dell’effetto serra tra le preoccupazioni prioritarie», ponendo un accento particolare sulla scarsità di risorse naturali, a partire dall’acqua. A ragion veduta.

«La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, ha portato ad una minore disponibilità media annua della risorsa idrica, che nel trentennio 1991-2020 si riduce del 20% rispetto alla media del trentennio 1921-1950, raggiungendo nel 2022 il suo minimo storico».

Sappiamo già che questo dato continuerà a peggiorare – entro fine secolo è a rischio dal 40% al 90% della disponibilità idrica nazionale –, se non riduciamo rapidamente le emissioni di gas serra, per contribuire a contenere la crisi climatica.

Ma il Governo Meloni sembra porsi l’obiettivo contrario: mentre l’Ue punta a tagliare i gas serra del 55% al 2030 rispetto al 1990, il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) appena proposto dall’Italia si ferma a -45%, con grande disappunto sia degli ambientalisti sia del comparto elettrico di Confindustria.

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