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Perché in Cina gli automobilisti uccidono volontariamente i pedoni che investono

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Se venite investiti da un’auto nelle strade di Pechino non chiedete aiuto e non aspettate i soccorsi, ma alzatevi e scappate. Perché probabilmente l’autista che vi ha stirato tenterà in ogni modo di ammazzarvi.

Il fenomeno di auto che passano due o tre volte sui corpi dei pedoni fino a ucciderli è molto diffuso in Cina ed è stato raccontato su Slate da Geoffrey Sant, docente di Legge alla Fordham University ed esperto di cultura cinese. Sant racconta episodi raccapriccianti, come quello nel Guangdong di una Bmw che dopo avere investito un bambino di due anni, gli è ripassato sulla testa in retromarcia e poi ancora una volta. Alcune telecamere di sicurezza hanno ripreso un’altra auto a tutta velocità in retromarcia che, dopo avere investito un’anziana, le ha schiacciato la testa con le ruote e poi è ripassata un altro paio di volte sul cadavere. Addirittura nel 2010 un uomo al volante dopo avere investito una donna in bici è tornato indietro e ha finito la vittima a coltellate. Un comportamento così crudele non ha a che fare con la pazzia degli autisti, non è una moda nichilista né deriva dalla cultura materialista comunista o dallo scarso valore che si dà alla vita, ma è la diretta conseguenza di un sistema di incentivi pubblici sballato. La risposta razionale a regole folli, secondo cui è meglio colpire per uccidere che colpire per ferire. In Cina infatti il risarcimento per le vittime decedute in incidenti stradali è relativamente basso, si sborsano dai 30 ai 50 mila dollari e la questione è finita. Mentre in caso di danni permanenti il responsabile dell’incidente deve pagare a vita le spese e l’assistenza sanitaria alla vittima, un costo che può superare il milione di dollari, oltre 20 volte il prezzo di una vita. Ovviamente sono tutti casi di omicidio volontario, ma la giustizia cinese è molto inefficiente e quasi sempre gli assassini riescono a sfuggire alla condanna penale o se la cavano con pochi anni, basta dire che il corpicino di un bambino o di un’anziana sembravano sacchi della spazzatura ed è fatta. Questo sistema di incentivi perversi non è il primo né sarà l’ultimo. Quando a inizio Novecento l’amministrazione coloniale francese a Hanoi decise di ripulire la città dall’infestazione di ratti, pensò di dare un incentivo di un centesimo per ogni coda di roditore consegnata come prova della sua uccisione. Ben presto i francesi si resero conto che le code, le taglie e i topi aumentavano esponenzialmente: per prendere il sussidio i vietnamiti tagliavano le code e lasciavano proliferare i roditori mutilati, i più ingegnosi li allevavano. Nell’800 i paleontologi che si recavano in Cina pagavano i contadini del posto per ogni frammento osseo di dinosauro che riuscivano a recuperare, ma solo dopo un po’ di tempo si accorsero che i contadini cinesi quando trovavano grandi ossa le fracassavano per fare più soldi. Più vicino a noi è la tragica storia degli “orfani di Duplessis”, dal nome del premier del Québec, in Canada, che aveva disegnato un sistema di sussidi per gli orfanotrofi da 70 cent al giorno per orfano e da 2,25 dollari per i pazienti delle cliniche psichiatriche: circa 20 mila bambini orfani furono falsamente dichiarati malati mentali e spediti negli ospedali psichiatrici da medici e organizzazioni religiose che così intascavano più soldi. Queste storie e quella degli autisti-assassini cinesi ci ricordano che gli incentivi contano e che anche i comportamenti apparentemente più assurdi derivano da motivazioni razionali. Si dice che l’uomo non può essere ridotto a una semplificazione iperrazionale della complessità della natura umana. Ma l’homo oeconomicus non esiste solo nei libri di economia, è possibile trovarselo di fronte al volante di un’auto in Cina. E a quel punto conviene stare attenti.

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