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Miniere di metalli sempre meno produttive, bisognerà attingere ai “depositi” antropici

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L’alternativa è tra un’economia circolare e la giustizia sociale e l’aumento dei conflitti.

Lo studio “Global patterns of metal extractivism, 1950–2010: Providing the bones for the industrial society’s skeleton”, pubblicato su Ecological Economics da Anke Schaffartzik , Andreas Mayer, Nina Eisenmenger e Fridolin Krausmann dell’Institut für Soziale Ökologie dell’Alpen-Adria Universität austriaca, sottolinea che «Le attività minerarie  hanno un potenziale impatto sociale e ambientale elevato e l’aumento dell’estrazione e  dell’utilizzo dei  metalli è probabile che alimenterà conflitti socio-ambientali».

I 4 ricercatori fanno parte del team viennese di Environmental Justice organizations, Liabilities and Trade (Ejolt)  e quella che hanno pubblicato è «La  prima analisi quantitativa globale dei flussi dei metalli, che fornisce approfondimenti sui modelli e le potenziali conseguenze del (neo)estrattivismo per quanto riguarda i metalli».  Ejolt sottolinea che «Tale analisi permette anche ad  attivisti, ricercatori, e popolazioni locali che stanno lottando contro gli  impatti negativi dalle attività estrattive di vedere i modelli simili dei drivers  e delle pressioni in altri casi. La combinazione delle conoscenze provenienti da studi locali e globali migliorerà la comprensione del potenziale risultante del conflitto e dai precursori per il cambiamento necessario».

I ricercatori austriaci ricordano che «Durante la seconda metà del  XX secolo, l’estrazione mineraria si è espansa a livello globale e deve essere considerata una delle forme dominanti di intervento umano sull’’ambiente. I metalli sono  risorse di importanza strategica per le società industrializzate e per l’industrializzazione».

Una ulteriore svolta c’è stata nel  2010, quando i 5 Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno consumato il 54% dei metalli estratti a livello globale.

Lo studio evidenzia che «L’analisi dei dati di flusso di materia offre una prospettiva biofisica sulle miniere come una frontiera delle risorse e consente l’identificazione di modelli nell’estrazione globale e nel  commercio di metalli».

Dal 1950, l’estrazione dei metalli si è estesa dai Paesi industrializzati alle  economie emergenti. Nel 2010, solo il 6% dei metalli veniva estratto in Europa o Nord America, mentre ben il 76% veniva estratto in soli 4 Paesi: Australia, Cina, India e Brasile.

Lo studio spiega che «Nei paesi che ospitano operazioni minerarie su vasta scala, la pressione socio-ecologica segue comunemente il cosiddetto percorso di sviluppo estrattivista . Gli alti livelli di esaurimento  dei depositi di metalli significano che in futuro gli odierni estrattori ed esportatori di metalli potranno dipendere dalle importazioni di metallo provenienti da depositi di origine antropica (stocks  in edifici, infrastrutture e prodotti durevoli)».  Vista così sarebbe la realizzazione dell’economia circolare, che fa di necessità (la fine delle risorse estraibili o la difficoltà di accedervi) virtù.

Ma il team dell’Alpen-Adria Universität «Il percorso estrattivista e il passaggio dai metalli naturali ai depositi di origine antropica sono entrambi associati ad un potenziale di conflitto».

Quindi l’esaurimento del di risorse che hanno costituito prima l’ossatura della rivoluzione industriale e poi lo scheletro portante della società dell’iper-consumo (occidentale) potrebbero non portarci ad un parsimonioso uso delle risorse basato sul riciclo e riuso, ma ad una lotta per i “depositi antropici” che lo sviluppo distorto ha creato. Con una nuova lotta per le risorse senza progresso, che ricorderebbe gli scenari di certi film di fantascienza catastrofica.

In un mondo dove l’ineguaglianza è sempre più ampia e nel quale l’umanità “ricca” sembra aver perso ogni contatto con l’economia reale e le fonti di produzione dei beni di consumo, il rischio è reale e quindi la giustizia sociale è sempre più strettamente legata ad un’ equa distribuzione delle risorse sempre più scarse. Un dilemma al quale l’umanità dovrà rispondere non tra mille anni, ma molto più presto di quel che credeva. Ce lo dicono gli scricchiolii che ricercatori come quelli dell’Ejolt sentono nelle ossa e nello scheletro di metallo della nostra società dei consumi e nelle miniere dei Paesi del mondo nelle quali la alimentiamo.

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