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L’Artico brucia. Copernicus: incendi boschivi senza precedenti

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Temperature molto elevate e siccità provocano incendi giganteschi in Siberia, Alberta e Alaska.

Nell’ultimo mese e mezzo il Copernicus atmosphere monitoring service (Cams) ha monitorato oltre 100 incendi boschivi violenti e di lunga durata nel circolo polare artico e sottolinea che «Solo a giugno, questi incendi hanno emesso nell’atmosfera 50 megatonnellate di biossido di carbonio, che equivalgono alle emissioni annue totali della Svezia». Si tratta di più di quanto sia stato rilasciato tra il 2010 e il 2018 da tutti gli incendi scoppiati nello stesso periodo di inizio estate nell’Artico.

Fino ad ora gli incendi boschivi artici in corso sono stati più gravi in ​​Alaska e in Siberia, dove alcuni incendi hanno incenerito aree grandi quasi quanto 100.000 campi da calcio, o quanto l’isola di Lanzarote (845 km2). Si stina che nella sola provincia canadese dell’Alberta un incendio abbia divorato una superficie boscata equivalente a 300.000 campi di calcio. Solo in Alaska, quest’anno il Cams ha registrato quasi 400 incendi, con nuovi focolai ogni giorno.

I ricercatori del Cams evidenziano che «Anche se gli incendi boschivi sono comuni nell’emisfero settentrionale tra maggio e ottobre, la latitudine e l’intensità di questi incendi, così come il periodo di tempo per cui sono divampati, sono state  particolarmente insolite».

Il  Cams è attuato  dall’ European centre for medium-range weather forecasts (Ecmwf)  per conto dell’Unione europea e comprende le osservazioni degli incendi realizzate dagli strumenti  MODIS a bordo dei satelliti Terra e Aqua della Nasa, che fanno parte del Global fire assimilation system (GFAS) che serve a monitorare gli incendi boschivi e a stimare quante e quali sostenze inquinanti emettono.

A Copernicus ricordano che «Gli incendi boschivi violenti emettono diversi tipi di sostanze inquinanti, molte delle quali possono influire sulla nostra salute. E anche se la maggior parte del Circolo polare artico rimane scarsamente popolata, gli esseri umani non possono sfuggire ai pericoli di questi incendi, il vento può soffiare l’inquinamento a migliaia di chilometri di distanza dalla sua fonte, influenzando la qualità dell’aria in tutto il mondo».

Il principale esperto di incendi boschivi del Cams, Mark Parrington, spiega a sua volta che «Le stime Cams  delle emissioni degli incendi vengono combinate con il sistema di previsioni meteorologiche Ecmwf per prevedere in che modo le condizioni meteorologiche causeranno l’inquinamento in tutto il mondo, influenzando la composizione atmosferica globale. Queste informazioni aiutano i Paesi, le imprese e le persone a pianificare gli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico».

Il Cams raccogli dati sugli incendi boschivi nell’Artico da 17 anni e da quei dati emerge che il culmine della stagione degli incendi nel circolo polare artico è tra luglio e agosto. Parrington fa notare che «A giugno è insolito vedere incendi di questa portata e durata a latitudini così elevate. Ma le temperature nell’Artico sono aumentate a un ritmo molto più rapido della media globale, e le condizioni più calde incoraggiano gli incendi a crescere e persistere una volta che sono stati accesi».

Questa attività estremamente violenta può essere in parte spiegata dalle informazioni fornite recentemente dal Copernicus Climate Change Service (C3S dell’Ecmwf) che mostra nell’artico temperature molto elevate accompagnate da siccità. Recentemente il C3S ha recentemente annunciato che il giugno 2019 è stato il più caldo mai registrato; particolarmente nelle aree della Siberia dove infuriano gli incendi, dove le temperature erano quasi 10  gradi centigradi più alte rispetto alla media del 1981-2010.

Al Cams concludono: «Gli incendi artici sono particolarmente preoccupanti in quanto è più probabile che il particolato si depositi sulle aree ghiacciate. Questo oscura il ghiaccio, portando all’assorbimento della luce solare invece di rifletterla, il che potrebbe esacerbare il riscaldamento globale».

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