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Ater Roma alla resa dei conti

tor marancia

Non ci sono solo le inchieste giudiziarie a turbare il sonno dei vertici dell’azienda che gestisce gli alloggi popolari. I conti non tornano e la strategia non è ancora chiara.

Per Andrea Napoletano sarà una brutta gatta da pelare. Come segretario del Mise, accanto all’ex ministro Carlo Calenda, deve averne viste di cotte e di crude. Ma dirigere l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale del comune di Roma (Ater) è tutt’altra cosa. Il braccio destro dell’ex ministro piddino, nominato dal governatore Nicola Zingaretti ai vertici dell’Ater l’ 8 agosto scorso, deve averne preso coscienza fino in fondo quando, al rientro dalle vacanze, si è ritrovato subito ad affrontare la maxindagine Anaconda che ha svelato il giro di tangenti attorno all’assegnazione delle case popolari nella Capitale. In compenso, il 10 agosto, l’ente per l’edilizia residenziale del comune di Roma, controllato dalla Regione, ha pensato bene di affidare allo studio di Enrico Laghi un piano finalizzato “al rientro dall’esposizione debitoria”. Laghi non è un consulente qualsiasi. Lo testimonia il fatto che è attualmente commissario dell’Ilva di Taranto e di Alitalia. Del resto, il lavoro da fare sull’Ater non è affatto facile. E la vendita di 5200 alloggi, già annunciata da tempo, non è operazione in discesa soprattutto nelle aree periferiche della Capitale. Ma bisogna fare presto perché il rischio di un blocco nell’operatività dell’azienda per mancanza di fondi è sempre dietro l’angolo.

Peraltro, al momento, il bilancio 2017 non è ancora pubblico. E non è chiaro quindi quali siano le criticità riscontrate lo scorso anno. Dall’ufficio stampa dell’Ater parlano di un lieve slittamento dovuto anche all’insediamento del nuovo direttore generale. Fatto sta che i conti ancora non sono accessibili. Si può solo prendere atto del fatto che l’esercizio 2016 non è stato particolarmente entusiasmante: fra un pignoramento dei conti e l’altro, l’Ater ha archiviato l’anno con 70,7 milioni di perdite come conseguenza di un aumento del Fondo svalutazione crediti. La pulizia di bilancio in atto ha praticamente quasi dimezzato (41%) i crediti in portafoglio risalenti al periodo 2007/2016. Inoltre, la relazione di gestione ha fornito alcune indicazioni sulle problematiche che avrebbe dovuto affrontare l’azienda nel 2017. Fra queste, le più rilevanti, sono le cartelle della rottamazione (300 milioni su un debito che supera i 500 milioni) e il piano del rientro del debito nei confronti del comune di Roma. Una spina nel fianco dell’Ater visto che nel luglio scorso, l’azienda non ha versato la prima rata della rottamazione (42 milioni). E la Regione ne ha persino ipotizzato la liquidazione coatta amministrativa con la vendita del patrimonio immobiliare. In che cosa consiste esattamente il piano che è al centro di un tavolo ministeriale? La solita bad company con il pagamento ai fornitori creditori e alle disastrate casse del comune di Roma solo dei debiti nei limiti delle risorse disponibili, mentre i dipendenti e la parte del patrimonio non vendibile transiterebbero in una società nuova di zecca.

Si tratta del resto di cifre da capogiro che, in alternativa, l’Ater dovrebbe recuperare nelle pieghe del suo bilancio grazie ad una migliore efficienza di gestione delle risorse umane e del suo patrimonio. L’operazione non è in discesa per una società che ha un obiettivo sociale prima ancora che economico. Basti pensare che, come riferisce la relazione sulla gestione 2016, l’Ater affitta i suoi appartamenti a Roma ad un canone mensile da circa 134 euro contro una media da 623 euro per un’abitazione di tipo economico. In pratica, ai suoi condomini pratica tariffe che sono quasi l’80% inferiori a quelle di mercato. “Per l’Ater Roma l’attività aziendale corrisponde, a seconda dei punti di vista, ad una perdita – utilità sociale, pari a 270 milioni di euro annui. Dato che deriva dalla differenza tra i due tipi di canone (quello Ater e quello di mercato, pari a 5862 euro annui, ndr) moltiplicata per i 46018 alloggi di proprietà di Ater Roma – come si legge nella relazione di gestione 2016 – I canoni dell’azienda ammontano a 1608 per le abitazioni ERP e 7470 per le abitazioni di tipo economico”. Va detto che questo non accade solo a Roma: “Estendendo l’analisi a – diverse città italiane – si può evincere che il canone annuale dell’ Erp è pari a 14mila euro circa, a fronte di un canone di mercato di circa 50mila euro. Ciò determina una differenza annua tra i canoni di circa 36mila euro”. Nulla questio se le case andassero sempre ai più bisognosi, cosa che, come insegnano le recenti indagini, non sempre accade. Ai prezzi attuali, l’Ater riesce comunque a intascare quasi 74 milioni di canoni per i suoi 46.018 alloggi, il 58% degli alloggi popolari dell’intera regione Lazio con circa il 70% dei ricavi totali e il 60% dei dipendenti.

Inoltre sui conti dell’Ater 2016 pende una spada di Damocle: il peso dei dipendenti. Secondo quanto riferisce la relazione di gestione 2016, l’Ater Roma ha 460 dipendenti contro i 187 di Bologna, i 92 di Venezia e i 115 di Napoli. Certo la Capitale è di gran lunga più grande delle altre città italiane. Tuttavia, sulla decina di realtà d’impresa prese in considerazione dalla relazione di gestione, Roma totalizza quasi un terzo (460) dei dipendenti totali (1515). Inoltre mentre a Latina un dipendente gestisce mediamente 175 alloggi, a Roma invece il rapporto scende a 1 ogni 100 case impiegando quasi il doppio dei lavoratori.

Più che sull’efficienza nella forza lavoro, la gestione Ater 2016 affida la ricerca di una situazione di maggiore equilibrio alla vendita di una parte degli immobili di proprietà. Una misura spot che rischia di non risolvere le criticità strutturali dell’azienda. Senza contare che, come evidenzia la relazione di gestione, “l’azienda è chiamata alla gestione del rischio connesso all’andamento dei valori di mercato che possono, in caso di trend negativo, determinare una diminuzione degli incassi attesi e pertanto delle conseguenti risorse da reinvestire ai sensi della normativa vigente”. Meglio quindi monitorare l’andamento dei mercati, facendo attenzione anche ad altri rischi come quello di liquidità dell’azienda che deve far fronte anche ad un tasso di morosità del 14 per cento. Senza naturalmente far venir meno la sua missione sociale. Un rompicapo non da poco con un impatto economico, politico e sociale sul comune di Roma, sulla Regione e persino sul futuro dei partiti.

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