Cerca nel Sito

«È come se i domestici si comprassero casa tua»

L'Angola è stata per quasi cinque secoli una colonia portoghese: oggi i rapporti di forza si sono invertiti

prang_mgx

Venerdì scorso la commissione elettorale dell’Angola ha comunicato i risultati delle elezioni legislative che si sono svolte lo scorso 23 agosto: per la prima volta in 38 anni l’Angola avrà un nuovo presidente. Jose Eduardo dos Santos, che guidava il paese fin dalla sua indipendenza, non si è ricandidato; al suo posto è stato eletto João Lourenço, il suo ex ministro della difesa. Dos Santos, però, rimane una delle persone più influenti del paese. È ancora il capo del partito di maggioranza, l’MPLA, mentre suoi parenti ed alleati occupano posizioni importanti nelle istituzioni e nelle grandi industrie del paese. Sua figlia, Isabel dos Santos, la donna più ricca dell’Africa, è stata da poco nominata amministratrice di Songal, la compagnia petrolifera nazionale, la principale fonte di entrate per l’intera economia del paese. Questo significa che, nonostante le elezioni, il “clan” formato da dos Santos e i suoi alleati continuerà a controllare l’economia del paese e, come ha raccontato un articolo del New York Times, continuerà a portare in Portogallo il denaro guadagnato.

Grazie al boom dell’industria petrolifera le élite angolane, in particolare quelle vicino alla famiglia dos Santos, si sono molto arricchite negli ultimi anni. Tra il 2002 e il 2015 si calcola che dall’Angola siano usciti 189 miliardi di dollari (158 miliardi di euro), una buona parte dei quali sono finiti in Portogallo sotto forma di investimenti immobiliari, azioni di banche e squadre di calcio. «Pensavamo che l’Angola fosse un paese povero e bisognoso di aiuto», ha raccontato Celso Felipe, un giornalista portoghese autore del libro “The Angolan Power in Portugal”: «Improvvisamente ci siamo accorti che erano gli angolani ad aiutarci, che erano loro a comprare cose che noi non potevamo più comprare. È stato come se i domestici si comprassero casa tua».
I due paesi hanno in comune da più di cinque secoli una storia molto travagliata. I mercanti portoghesi stabilirono i primi contatti alla fine del Quattrocento, quando costruirono alcuni insediamenti sulle coste dell’odierna Angola ed iniziarono ad acquistare schiavi dalle tribù dell’interno. Per secoli la presenza portoghese si limitò all’area costiera e alle valli fluviali. Poi, nel corso dell’Ottocento, i portoghesi abolirono la schiavitù e, con l’aiuto dei primi ritrovati medici contro le malattie tropicali e delle armi moderne, completarono la conquista dell’interno, trasformando il paese in un’importante fonte di gomma e avorio per le esportazioni. Negli anni Sessanta del secolo scorso una serie di movimenti politici iniziarono a opporsi al dominio coloniale del Portogallo. Iniziò una guerra in cui i ribelli dell’MPLA (quello che sarebbe divenuto il partito dei dos Santos) avevano l’appoggio di Cuba e dell’Unione Sovietica, mentre i portoghesi erano aiutati da Stati Uniti e Sudafrica. La guerra però fu insostenibile per il regime autoritario portoghese dell’epoca. Nel 1974 il nuovo governo militare portoghese iniziò la democratizzazione del paese e concesse l’indipendenza all’Angola. Dopo una lunga guerra civile tra i vari movimenti di liberazione, nel 2002 il paese tornò in pace e da allora è sempre rimasto stabile.

Negli ultimi 15 anni il rapporto tra colonizzatori e colonizzati sembra essersi invertito. Mentre la crisi economica colpiva duramente l’economia portoghese, in Angola è cresciuta moltissimo l’industria petrolifera. Tra il 2002 e il 2008 l’economia dell’Angola è cresciuta al ritmo del 15 per cento. Quando alla fine del decennio il Portogallo si è trovato nella peggiore recessione dagli anni Settanta, con la disoccupazione al 15 per cento e il sistema bancario sull’orlo della bancarotta, l’élite dell’Angola è arrivata in soccorso dei vecchi colonizzatori. Oggi migliaia di portoghesi partono per l’Angola in cerca di lavoro e i flussi di investimenti fanno la stessa strada al contrario. A Cascais, sulla costa portoghese, un avveniristico palazzo di 14 piani è stato quasi completamente acquistato da cittadini o società dell’Angola. Isabel dos Santos, la figlia dell’ex presidente dell’Angola, possiede un’importante quota nella NOS, la principale società di telecomunicazioni del paese. Investimenti angolani hanno salvato dalla bancarotta decine di società portoghesi, tra cui la banca Millennium BCP, presieduta dall’ex ministro degli Esteri portoghese António Monteiro. La squadra di calcio Sporting Lisbona è controllata da un miliardario angolano, Álvaro Sobrinho, che possiede anche due quotidiani.

Alcuni portoghesi, come il giornalista Celso Felipe, sono rimasti sorpresi e turbati da questo cambiamento nei rapporti di forza, ma per molti altri gli investimenti angolani hanno rappresentato un’ancora di salvezza in un momento particolarmente difficile, al punto che molti hanno preferito non chiedersi quale fosse la provenienza di quei capitali. Qualche anno fa uscì la notizia di alcune indagini portate avanti dalla magistratura portoghese su importanti funzionari angolani. L’indagine riguardava l’allora vice presidente dell’Angola, Manuel Vincente, accusato di aver corrotto un giudice portoghese con 810 mila dollari per mettere a tacere un altro caso di corruzione. In risposta, l’allora presidente dos Santos minacciò di interrompere le relazioni diplomatiche. Per evitare il peggio, il ministro degli Esteri portoghese si recò in visita in Angola per formulare una sorta di scuse ufficiali. Da parte loro, gli angolani sostengono di essere ingiustamente perseguitati dalla magistratura portoghese. Sostengono che essere originari dell’Angola significa che i propri affari saranno scrutinati con una cura molto maggiore rispetto a quella riservata agli investitori russi oppure cinesi.

Ma è un dato di fatto che l’Angola, secondo le principali classifiche internazionali, sia uno dei paesi più corrotti e diseguali al mondo. Secondo una ricerca dello scorso giugno, la capitale Luanda è la città più cara del pianeta per coloro che risiedono stabilmente all’estero, soprattutto per via del costo delle abitazioni nei quartieri più sicuri della città. Metà della popolazione del paese vive con meno di 3,10 dollari al giorno. La ricchezza del paese è quasi tutta concentrata nelle mani della famiglia dos Santos e dei suoi alleati, i cui interessi raggiungono ogni angolo dell’economia del paese. La maggior parte di loro sa che prima o poi il loro dominio sul paese è destinato a terminare, quindi molti di loro cercano di portare i loro capitali all’estero, in particolare in Portogallo, dove la lingua e le ristrettezze economiche del governo hanno creato un ambiente favorevole. Il Portogallo, inoltre, essendo membro dell’Unione Europea, rappresenta la porta di accesso al resto del continente. È possibile che i loro investimenti siano controllati con più scrupolo di quelli provenienti da altri paesi notoriamente corrotti, ma non sembra che questo pregiudizio abbia portato a particolari risultati. Secondo l’OCSE gli sforzi del governo portoghese di far rispettare le leggi sulla corruzione da parte di cittadini stranieri sono stati “estremamente ridotti“.
Non è chiaro, però, quanto questo flusso sia destinato a continuare. Il prezzo del petrolio è crollato e nel corso dell’ultimo anno il governo dell’Angola si è trovato in grosse difficoltà. Le infrastrutture fatiscenti fuori dalla capitale sono peggiorate ulteriormente e in molte aree del paese mancano medicine e dottori. Negli ultimi mesi, un’epidemia di febbre gialla ha già ucciso 400 persone. Anche se il partito di dos Santos è riuscito a vincere le elezioni, le opposizioni hanno ottenuto un buon risultato, raccogliendo quasi il 40 per cento dei voti. Indipendentemente da come finirà la storia di dos Santons e della sua cerchia, il Portogallo sembra che ne uscirà vincitore ancora una volta. Per secoli dall’Angola prese gli schiavi e quando la tratta fu interrotta ne ricavò gomma e avorio. Nell’ultimo decennio ne ha ricavato i proventi del petrolio, sottratti al resto del paese da un’élite corrotta e usati per salvare le sue banche e le sue squadre di calcio.

Link all’art.