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Comunità energetiche. Perché tanti progetti pionieri ma ancora pochi i risultati?

communita energetiche

Le tante sperimentazioni hanno messo in rilievo i problemi senza che vi sia certezza su modalità e tempi per la loro soluzione. Le difficoltà vecchie e nuove della Comunità energetica di Roseto Valfortore.

Iniziative che avevano l’ambizione di realizzare Comunità Energetiche (CER) di ampio respiro, sia dal punto di vista dell’estensione territoriale che del modello socio-tecnico ed economico, sono rimaste al palo, faticando persino a portare a termine una piccola CER (vedi GECO – Green Energy Community e Comunità Energetica Pinerolese).

Il progetto originale di Roseto Valfortore (FG) prevedeva l’installazione di impianti fotovoltaici domestici per 750 kWp ed eolici per 3 MWp.

Grazie alla dotazione di sistemi di accumulosmart meters e un’apposita app, gli utenti avrebbero potuto gestire adeguatamente i propri consumi in vista della massima condivisione dell’energia autoprodotta dalla Comunità energetica. L’intero sistema sarebbe stato gestito grazie alla nanogrid e a un servizio powercloud.

Si trattava, secondo noi, di un progetto di Comunità energetica più tecnico che comunitario, basato su un’iniziativa di tipo prettamente imprenditoriale, e tuttavia con una notevole quota di innovazione tecnologica grazie alla collaborazione con Creta Energie Speciali, spin off dell’Università della Calabria.

Ciononostante, il progetto non potrà vedere la luce fino a quando non saranno rimossi i vincoli tecnici, economici e normativi che ostacolano questa e altre iniziative.

A distanza di dieci mesi ci siamo confrontati nuovamente con Michele Raffa, presidente di Friendly Power Srl, promotore del progetto, per verificarne l’evoluzione (vedi anche Una comunità energetica a Roseto Valfortore. Molto tecnica, ma poco “comunitaria”?).

I problemi noti e irrisolti e quelli nuovi

Può risultare persino stucchevole lamentare per mesi lo stesso problema e, sebbene ARERA ed e-distribuzione avessero garantito una pronta e fattiva soluzione, improntata alla collaborazione (vedi Comunità energetiche: la difficoltà di accesso ai dati delle cabine secondarie), Michele Raffa ci conferma che a Roseto Valfortore sono occorsi quasi 3 mesi per avere una risposta dal distributore che consentisse di stabilire la corrispondenza POD/cabine MT-BT (il 17/3 la prima richiesta, il 28/4 il sollecito, il 3/6 la risposta incompleta di e-distribuzione, il 9/6 un ulteriore sollecito, il 10/6 la risposta definitiva).

“Quello della cabina è un limite enorme, quasi insostenibile – conferma Raffa – almeno per due ragioni. La prima è che anche in Comuni relativamente piccoli possono esserci tante cabine. Quindi, dopo tre mesi di attesa, ci si può ritrovare con due o tre utenti per cabina, rendendo impossibile un dimensionamento della CER che tenga nella giusta considerazione produzione e consumi”.

“Inoltre – aggiunge Raffa – dopo un confronto con il Gse, è emerso che al momento della costituzione della CER il soggetto giuridico deputato a gestirla può essere composto dai soli prosumer e consumer di quella stessa comunità. Vale a dire che se c’è un’associazione esistente o una coop di comunità, queste non possono formare una CER, ma si deve costituire una nuova entità giuridica”.

Il che implica, potenzialmente, la costituzione di una entità giuridica per ogni cabina di trasformazione! Milioni?

“A questo punto – conclude – posto che questo requisito non è scritto da nessuna parte, è difficile capire se si tratta di un’opinione dei nostri interlocutori al Gse, che potrebbe pertanto essere modificata, oppure di una posizione ufficiale, posto che il Gse ha emanato le Linee Guida ed è quindi per definizione l’interprete della norma”.

Certo non si può che concordare con Michele Raffa quando ammette che è difficile trovare investitori, in queste condizioni, con progetti di dimensioni limitate e regolati da contorni normativi incerti.

“Noi ci siamo mossi mesi fa con il crowdfunding – aggiunge – ma in assenza di certezze abbiamo dovuto sospendere la campagna già annunciata con ecomill e difficilmente riusciremo a intercettare l’interesse dei Fondi di investimento con pochi progetti e di piccola taglia”.

In buona sostanza è confermato ciò che è stato dichiarato fin dalle prime battute, ossia che il recepimento della direttiva ha puntato soprattutto a favorire la costituzione di Gruppi di Autoconsumo Collettivo (AUC) senza tuttavia considerare, come sostiene Raffa, che “le superfici a disposizione dei condomìni per installare impianti fotovoltaici sono minime, quasi sempre non in grado di soddisfare il fabbisogno di tutti condòmini, e che pertanto occorre pensare ad un perimetro più ampio, che preveda l’inserimento dei condomìni nelle comunità energetiche”.

Inoltre, quello che potremmo chiamare l’abbraccio mortale con il superbonus 110% e i problemi legati alla sua applicazione rendono difficile convincere un condominio che dovesse avere spazi adeguati a far rientrare nel superbonus solo la parte di fotovoltaico utile a soddisfare il fabbisogno elettrico condominiale e destinare la restante parte al gruppo di AUC o a una CER.

Nella migliore delle ipotesi, inoltre, le incertezze che bloccano l’avvio dei progetti legati al Superbonus, rimandano anche la possibilità di realizzare CER o gruppi di AUC.

L’ipotesi di estendere il perimetro delle Comunità energetiche

A partire dalle difficoltà di cui abbiamo detto, Friendly Power ha rivisto il suo modello di Comunità Energetica.

“Dovendo ragionare a livello di cabina – dice Raffa – abbiamo dovuto rinunciare a realizzare i 750 kWp di impianti domestici, e soprattutto gli impianti eolici di Comunità per 3 MWp, per non trovarci nella condizione di avere più produzione di quanta possa essere assorbita e incentivata, compromettendo la redditività dell’investimento”.

“Se si considera infatti che l’autoconsumo si attesta intorno al 30%, noi dovremmo essere in grado di estendere il perimetro della Comunità Energetica in modo da coinvolgere anche soggetti esterni allo specifico ambito territoriale di Roseto Valfortore, eventualmente non in grado di produrre, come ad esempio i condomìni di Foggia, che si trova a 50 km di distanza”.

Cinquanta chilometri di estensione per una Comunità energetica sono una dimensione che va oltre il concetto di “locale”. Tuttavia, secondo Raffa, “50 km sono una dimensione virtuale accettabile, se intesa come somma algebrica di misuratori fiscali, di produzione e di consumo”.

“Una Comunità energetica di uno o più Comuni rurali e montani, fisica o virtuale che sia – spiega Raffa – certamente impatta in modo positivo sull’efficienza del sistema elettrico, che avrà un solo dato di sintesi da elaborare e non, invece, una miriade di dati provenienti dai tanti consumatori marginali e dai singoli impianti di produzione”.

L’utilizzo della rete elettrica locale da parte della Comunità farebbe venire meno la remunerazione per gli oneri di rete e, tuttavia, secondo Raffa, “un’ipotesi di questo tipo produrrebbe un importante valore economico che le aree rurali potrebbero utilizzare per combattere lo spopolamento, mantenendo le loro tipicità che, se pur preziose, non sono in grado di garantire la loro sopravvivenza”.

Una posizione coerente in qualche modo con la tesi per la quale le CER dovrebbero essere in grado di determinare benefici socio-economici e ambientali più che energetici (vedi Nuovi scenari e attori per le Comunità Energetiche dei prossimi anni).

“Realizzare Comunità energetiche nelle aree rurali – spiega Raffa – è anche un’opportunità per infrastrutture con nuove tecnologie e sistemi di TLC di cui oggi sono prive. Gli impianti alimentati da rinnovabili hanno necessità di essere monitorati in tempo reale, pertanto gli investimenti per la rete elettrica necessaria per prelevare e trasportare l’energia devono comprendere anche quelli dell’infrastruttura TLC”.

“In tal modo – conclude – si creerebbero aree territoriali alimentate da energia rinnovabile, completamente autosufficienti, che, auspicabilmente, potrebbero un giorno valorizzare l’energia elettrica prodotta in eccesso portando ad un ulteriore vantaggio economico”.

La proposta di Friendly Power per i piccoli Comuni

In attesa, quindi, di costruire Comunità energetiche con consumi interamente soddisfatti da fonti rinnovabili nelle aree rurali e capaci di condividere l’energia elettrica prodotta in eccedenza per i i consumi di quelle urbane, Friendly Power sta proponendo ai piccoli Comuni di realizzare in prima istanza CER secondo la normativa vigente.

“Proponiamo la realizzazione di impianti di comunità sugli edifici pubblici – spiega Raffa – con l’immediata riduzione della bolletta elettrica per il Comune grazie alla quota di autoconsumo; l’energia immessa in rete sarà a disposizione dei membri della CER che potranno usarla in condivisione e generare, così, gli incentivi previsti dalle regole stesse. Chiaramente stiamo parlando di modelli in scala ridotta, capaci di sostenersi economicamente e finanziariamente, e replicabili in piccoli Comuni”.

A Roseto Valfortore si sta costituendo l’associazione a cui aderiranno i soggetti collegati alla stessa cabina cui è connesso l’edificio comunale. Qui sarà realizzato, in assetto base, un primo impianto FV da 40 kWp.

“L’impianto – spiega Raffa – sarà finanziato da un investitore che sarà individuato da Friendly Power e dato in uso alla CER che, con una parte degli incentivi, provvederà al pagamento del canone per l’uso dell’impianto e con la restante parte abbatterà il costo delle bollette elettriche dei consumer. Le modalità su come destinare e ripartire i benefici – aggiunge – saranno stabilite dalla CER nel proprio regolamento”.

“In questa prima fase di piccoli impianti – conclude Raffa – nel nostro ruolo di facilitatori stiamo proponendo di destinare una parte dell’incentivo, compresa tra il 30 e il 50%, ad ogni partecipante della CER per premiare la partecipazione e la rimanente parte in proporzione all’energia consumata in condivisione da ciascuno dei membri, per premiare i più virtuosi”.

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