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Nell’Italia bloccata da Nimby e Nimto la prima vittima è lo sviluppo sostenibile

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Il comparto più contestato è quello energetico, e nei tre quarti dei casi in ballo ci sono le rinnovabili.

In tredici anni di vita l’Osservatorio media permanente Nimby forum non ha mai registrato così poche nuove contestazioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali, ovvero che siano emerse per la prima volta nel 2017: sono “solo” 80 i casi censiti (-31,6% rispetto ai 119 nuovi focolai apparsi nel 2016), che arrivano a 317 contando quelli storici (contro i 359 censiti nel 2016, -11,7%). Ma non si tratta di una buona notizia, anzi. Nell’era del dissenso che stiamo vivendo le contestazioni calano perché calano le opere in cantiere, offrendo l’immagine plastica di un Paese bloccato.

«Abbiamo notizia di una diminuzione del numero di procedure nazionali di Via – dettaglia Alessandro Beulcke, ceo dell’agenzia che dal 2004 promuove l’Osservatorio Nimby forum – per cui vediamo un collegamento con la diminuzione delle contestazioni sui progetti verso cui tradizionalmente si esprime dissenso. Le imprese dinanzi a un quadro normativo incerto e a una politica spesso irresponsabile, che preferisce giocare con il consenso anziché governare il territorio, preferiscono investire altrove. Questo spiega l’ingente emorragia di capitali e la fuga di investimenti privati. È necessario ripartire dalla certezza del diritto, dall’ascolto attivo del territorio e da una politica più coraggiosa che non abbia paura di affrontare e gestire il malcontento, per investire davvero nella modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Maggiore senso di responsabilità e confronto aperto sulla comunicazione: è l’unica ricetta per uscire dall’immobilismo».

Un immobilismo che paradossalmente incide soprattutto sulla capacità di inseguire uno sviluppo più sostenibile. La XIII edizione dell’Osservatorio Nimby forum, presentata ieri a Roma e nata dal monitoraggio di oltre1.000 testate, mostra infatti che il comparto industriale più contestato è quello energetico con il 57,4%, con le opposizioni orientate in maniera preponderante verso gli impianti da fonti rinnovabili (55 quelli contestati, il 73,3% sul totale del comparto); a seguire il settore dei rifiuti (35,9%) e il comparto infrastrutturale (5,9%). Numeri che restituiscono ancora una volta l’immagine di un Paese immerso nelle contraddizioni e diviso tra il sostegno in politiche green, diffuso tra gli opinion leader, e le reazioni “Nimby” riservate a questi progetti sui territorio. Sono molte le ragioni di tutto questo. Tra le principali: la colpevole distanza delle classi dirigenti dalle istanze popolari. Non a caso le evidenze emerse dopo anni di analisi da parte del Nimby forum sottolineano infatti l’importanza, in termini di accettabilità sociale dei progetti proposti, di un’informazione preventiva e trasparente da parte dei soggetti proponenti, unita al coinvolgimento del territorio a partire dalle prime fasi di progettazione.

Ma se queste sono le cause chi sono in realtà i contestatori, e come agiscono? L’acronimo Nimby (Not in my back yard, non nel mio cortile), nato per descrivere il rifiuto da parte delle comunità locali verso nuove infrastrutture, impianti o mutamenti sociali in un determinato territorio, descrive oggi un fenomeno estremamente ampio, connesso alla difesa di interessi specifici – economici, politici, personali – e consolidati contro un interesse generale, e assume spesso i connotati di una battaglia politica o ideologica. Tanto che oggi il primo attore di dinamiche Nimby è la politica, ed è necessario riflettere sul fenomeno in termini di Nimto (Not in my terms of office, non durante il mio mandato elettorale). Il Nimby Forum da sempre raggruppa i soggetti contestatori in 5 categorie: popolare, politica, enti pubblici, associazioni ambientaliste e associazioni di categoria e sindacati. I dati mostrano che nella maggioranza assoluta dei casi (51,6%) sono proprio enti pubblici e politica – forti rispettivamente del 26,3% e 25,4% delle contestazioni – a opporsi a impianti e opere pubbliche, seguiti dalla matrice popolare (comitati, etc) con il 34,6% e associazioni ambientaliste (9,6%). Visti gli attori in gioco, non sorprende che ieri alla presentazione del rapporto (patrocinato dal ministero dell’Ambiente, da quello dei Trasporti e dalla Commissione Ue) non sia intervenuto nessun esponente del governo in carica.

«Come siamo arrivati a questa deriva anti-industrialista? Come Nimby Forum – spiega Beulcke – lo diciamo da anni: è un problema di comunicazione. E chi dice che la comunicazione sia un corollario, si accomodi in un’altra epoca. Togliere il terreno da sotto i piedi al populismo è una responsabilità di tutti, per assistere finalmente a dibattiti informati, che permettano azioni politiche volte al bene comune, oltre il consenso di breve termine».

Il ruolo dei media ha dunque un’enorme responsabilità: una delle costanti nella rilevazione delle iniziative di comunicazione è che i soggetti che si oppongono ad un’opera pubblica tendono ad attivarsi per fare conoscere la propria posizione in modo maggiore rispetto a coloro che sono ad essa favorevoli. Un però è possibile, come mostra sempre il Nimby forum offrendo anche una panoramica delle motivazioni espresse a favore di opere e impianti: il 2017 vede infatti un aumento di queste rispetto alla passata edizione, passando da un 19,9% rilevato nel 2016 ad un 24,74% nel 2017.

di
Luca Aterini

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