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L’uomo che progetta le città dei bambini

Francesco-Tonucci

«SE voi dite agli adulti: “Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto”, loro non arrivano a immaginarsela. Bisogna dire: “Ho visto una casa da centomila lire”, e allora esclamano: “Com’è bella”. È una frase del Piccolo Principe. Trovo che sia bellissima». Il punto di vista di Francesco Tonucci, pioniere della ricerca sul rapporto tra i bambini e la città, non è così lontano da quello di Saint Exupéry, autore del celebre romanzo. Amministratori e architetti dibattono dei parametri da adottare per stilare classifiche di città “children-friendly”, con criteri di cui i piccoli abitanti, però, restano all’oscuro.

Se la competizione fosse europea, la regina dell’infanzia sarebbe, indiscussa, Pontevedra: «La cittadina spagnola della Galizia — spiega Tonucci — è protagonista di una rivoluzione urbana senza precedenti, che comprende la riduzione obbligatoria della velocità per le auto, parcheggi gratuiti e una pianificazione territoriale volta a ricavare più spazi pedonali»,. Nato a Fano, una laurea in pedagogia alla Cattolica di Milano, maestro elementare e poi ricercatore, dal 1991 Tonucci coordina un progetto internazionale dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr: “La città delle bambine e dei bambini”, adottato da circa 200 tra Comuni e grandi centri in tutto il mondo, di cui 79 italiani. Fano in testa. Propone attività e laboratori come il “Consiglio comunale dei bambini” per stimolare la loro indipendenza e partecipazione alla cittadinanza. «A Palermo ho lavorato con Orlando, a Roma con Veltroni. Da Alemanno in poi: non pervenuti. Ma stiamo collaborando con la Regione Lazio». All’estero lo cercano molto Tonucci, da Città del Messico al Libano, dove illustra il suo lavoro. «Una città non “a misura di”, non “amica di”, ma “dei” bambini. La nostra è una proposta politica, una diversa filosofia di governo. Ci mettiamo dalla loro parte». Lui e il suo team: Antonella Prisco e Daniela Renzi. Con un solo motto: «Mai dimenticarsi della propria infanzia».

Questione sicurezza, spina nel fianco. «Quella dell’adulto è “difesa”: non mando fuori mio figlio perché non è sicuro. Invece le strade sarebbero più sicure se ci fossero i nostri figli a frequentarle ». Da quando è nonno, Tonucci prova «vergogna per i “guai” che combinano gli adulti, rivelati con capacità profetiche dai bambini». Dei suoi due nipoti, uno ha 8 anni. L’età giusta per un esperimento che ha smentito molti pedagogisti: lo si manda da solo a comprare un ghiacciolo. Se quando torna gli è rimasto in mano solo lo stecchino, il quartiere non è a prova di bambino. (Ammesso che si superi l’apprensione, che non lo mangi sulla via del ritorno. E che ne abbia trovato uno). Si chiama “test del ghiacciolo”. «Dà una misura geografica e temporale — spiega Tonucci — : il tempo del ghiacciolo di sciogliersi e il tempo del bambino di andare e tornare a piedi. La presenza dei negozi rende il quartiere sicuro e percorribile. Un nostro successo è stato “A scuola ci andiamo da soli”». Ovvero: «I bambini si incontrano in punti prestabiliti e vanno a scuola insieme “con gli amici”. Un modo, apprezzato dai cittadini, per unire la mobilità sostenibile all’autonomia di movimento », spiega Simona Stolfa, architetto e mobility manager del Comune di Pesaro, che segue l’iniziativa da quando è nata, nel 2001.

«I bambini devono giocare, inciampare, scoprire. In autonomia. Così sviluppano senso di responsabilità e resilienza. Senza perdere la capacità di stupirsi. È la meraviglia quello che manca ai bimbi di oggi», dice Tonucci. La stessa che dovrebbe ritrovare spazio nella testa degli amministratori. Un piccolo cittadino di Novara scrive sul sito del progetto del Cnr che «le voci dei bambini non sono ascoltate e i grandi vengono considerati migliori». Sordità più che trentennale: nel 1984 usciva un documentario di Silvano Agosti,

D’amore si vive: «Gli adulti credono che i bambini non son buoni da far niente. Ma se vogliono son superiori dei grandi perché hanno un modo diverso di pensare. Immagino le cose più belle, più pure, invece i grandi con malizia. Come te», dice Francesco, nove anni, all’adulto che lo intervista.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

“Non bastano astratti criteri children-friendly Gli adulti devono mettersi nei panni dei propri figli”

Alessandra Borella

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