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Come sta andando il mercato delle materie prime, motore nascosto dell’economia globale

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Secondo la Banca mondiale «tutti i principali indici di prezzo delle commodity (eccetto prodotti alimentari e metalli preziosi) sono previsti in calo nel 2016»

Litio, tungsteno, terre rare, tantalio, sale, vanadio e molibdeno non sono nomi che si rintracciano facilmente nelle analisi economiche cui siamo sommersi quotidianamente. Eppure rappresentano alcune delle principali materie prime che muovono ancora oggi l’economia reale, quella fatta di estrazione, lavorazione e commercio di risorse naturali. Roskill, una delle più antiche e qualificate società di consulenza specializzate nel settore delle materie prime, in particolare metalli e minerali – nasce nel 1930 nel Regno Unito, fino a servire clienti provenienti da oltre 100 paesi – ha pubblicato ieri un’anteprima sul mercato di settore: per provare a capire meglio dove sta andando l’economia mondiale vale la pena di dargli un’occhiata, andando oltre gli indici di Borsa.

L’indice aggregato S&P 500, che misura la performance delle 500 aziende Usa a maggiore capitalizzazione, ha segnato nei giorni scorsi un nuovo record storico (riprendendo ampiamente il terreno perso con la crisi finanziaria), mentre – spiegano da Roskill – il mercato delle materie prime a livello mondiale non si è ancora ripreso dalla difficili condizioni maturate dalla fine del 2014 e per tutto il 2015. All’inizio di quest’anno i prezzi del greggio e dei minerali (ferro, rame, alluminio) valevano in media tra il 21-69% dei livelli raggiunti nel 2012, e la prima metà del 2016 ha portato solo una tiepida ripresa per le commodity, maturando performance del tutto eterogenee.

«Il commercio mondiale di alcuni prodotti chiave – litio, tungsteno, terre rare, tantalio, sale, vanadio e molibdeno – ha mostrato andamenti differenziati nei primi sei mesi del 2016», spiegano gli analisti Roskill. Ad esempio, guardando a uno dei principali ingredienti che muovono l’industria elettronica e delle tecnologie rinnovabili, le esportazioni di carbonato di litio da Cile e Argentina sono cresciute del 50% nel primo semestre 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre le esportazioni di idrossido di litio da Stati Uniti, Cina, Cile e Russia hanno perso per strada oltre 1.000 tonnellate. Per quanto riguarda il tungsteno, le esportazioni di minerali (con i principali carichi partiti da Russia, Bolivia, Portogallo e Spagna) sono rimaste invece stabili; poco vitale anche il mercato del tantalio.

Dopo le turbolenze – anche politiche – degli anni scorsi, nel primo semestre 2016 sono poi tornate in forte crescita le esportazioni cinesi delle terre rare, anch’esse indispensabili alla moderna industria. La Cina, che detiene ancora oggi oltre il 90% delle riserve mondiali, ha esportato 23,200t di prodotti trasformati in sei mesi, segnando un +67% rispetto al 2015. A crollare del 25% sono state invece le importazioni mondiali di sale: perché? Secondo l’analisi di Roskill, la «stragrande maggioranza di questo deficit può essere attribuito a una riduzione delle importazioni di sale degli Stati Uniti dal Cile e Canada». Il 2016 sta infrangendo ogni record di riscaldamento globale, e anche negli Usa è stato impiegato molto meno sale come agente anti-ghiaccio. Un piccolo, significativo esempio di come i cambiamenti climatici contribuiscano a modellare la realtà di tutti i giorni, non solo attraverso le crescenti catastrofi naturali.

Se questi sono stati gli andamenti per la prima parte del 2016, cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro? Le prospettive di mercato fornite da Roskill saranno pubblicate non prima della fine dell’estate. Nel mentre, pochi giorni fa la Banca mondiale ha dato la sua versione dei fatti nell’ultimo Commodity markets outlook: anche se la discesa appare oggi meno brusco di quanto non fosse solo pochi mesi fa, secondo l’istituzione di Washington «tutti i principali indici di prezzo delle materie prime (eccetto prodotti alimentari e metalli preziosi) sono previsti in calo nel 2016 a causa di ampie riserve e – nel caso delle commodity industriali – deboli prospettive di crescite nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo».

Questa fase di bonaccia sui mercati sarebbe oltremodo preziosa per avviare una riflessione politica a livello internazionale sul mercato e consumo delle materie prime, ma non se ne vedono le avvisaglie. Secondo un recente rapporto dell’Onu, l’estrazione di risorse naturali a livello globale è triplicata negli ultimi 40 anni, e da qui al 2050 rischia di triplicare ancora senza peraltro risolvere il doloroso nodo della disuguaglianza: oggi i paesi ricchi (come l’Italia) consumano fino a 10 volte il quantitativo di risorse naturali disponibile per i paesi più poveri. Curiosamente, non sembriamo preoccuparcene. Preferiamo l’economia di carta. Non a caso il famoso indice Dow Jones, che nel 2016 compie 120 anni, è cresciuto in poco più di un secolo del 43mila per cento. Difficile affermare che nel frattempo il resto del mondo abbia brillato di simile splendore.

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