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BENVENUTI MA NON TROPPO

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Domani 15 ottobre e dopodomani 16, a Bruxelles si terrà la riunione del Consiglio Europeo (la istituzione della Unione nella quale sono presenti i capi di Stato e di Governo dei 28 paesi membri della E.E.). Il Consiglio Europeo affronterà ancora una volta il tema delle Migrazioni.

Diario europeo vuole oggi dedicare la sue poche righe a questo strategico e grave problema.

Lo farà con l’occhio puntato alla più dura attualità: le decisioni che le Istituzioni europee vanno prendendo, settimana dopo settimana. Sia queste decisioni sia il flusso umano  (attenzione, di questo si tratta: parliamo e vediamo persone, non numeri, non cose) ogni giorno entrano nelle nostre case con la Tv e ciascuno può documentarsi attraverso il web o i giornali. Diario europeo senza abbandonare l’attualità deve comunque misurarsi con una sfida più grande. Perciò comincia dando ai lettori e alle lettrici poche citazioni  per meditare e vivere il quotidiano in un ambito di storia e umanità.

In Europa oggi l’arrivo dei migranti pare più grave e urgente di un possibile ritorno alla guerra fredda” (Franco Venturini, firma tradizionale di Corriere della sera).

“Da ormai un quarto di secolo, migrante è uno dei termini più gettonati nel dibattito politico e mediatico (…) Le categorie con cui definiamo i migranti non esistono in natura, ma riflettono scelte di tipo politico-giuridico, atteggiamenti e vissuti della popolazione, sentimenti custoditi dalla memoria collettiva, percezioni riguardo il grado di distanza sociale tra i diversi gruppi: essi sono costituzionalmente non neutrali, ma rinviano sempre ad una certa idea di confine che, a sua volta, regola la dinamica inclusione/esclusione…” (Laura Zanfrini, sociologa).

I firmatari dell’attuale Trattato sull’Unione Europea, scrissero a suo tempo: “decisi a istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi” (Preambolo del T.U.E).

“La cittadinanza esige la non uniformità né omogeneità, ma uguaglianza e pari dignità. In realtà chi chiede oggi la cittadinanza non universale ma selettiva e diseguale, propugna una sorta di uscita a ritroso dalla modernità, verso un feudalesimo delle disuguaglianze, verso nuove servitù. E, al contrario, la lotta per la cittadinanza degli stranieri residenti, può essere un’occasione per riaprire una stagione di partecipazione politica anche per chi la cittadinanza già ce l’ha, ma non ne fa un buon uso. Non sono solo gli stranieri, ma tutto il Paese ad averne bisogno.” (Carlo Galli, Abbiccì della cronaca politica).

“L’ordine giuridico è a base statale e non contempla un’identità politica al di fuori dello stato: nemmeno quello europeo, che pure ha l’ambizione di essere sovranazionale. Eppure questi migranti rivendicano una dignità di parola politica e avanzano una richiesta di protagonismo autonomo nel nome di se stessi come essere umani: reclamano una utopia a tutt’oggi, ovvero una cittadinanza cosmopolitica. […] E questa l’importante novità che emerge dai recenti movimenti biblici di migranti senza stato. La loro è una sfida importante alle forze progressiste e democratiche dell’Europa: poiché indubbiamente le esigenze del tutto ragionevoli di regolare i flussi migratori devono potersi combinare a un progetto continentale che riconosca una dignità di cittadinanza ai migranti.” (Nadia Urbinati, La mutazione antiegualitaria – Intervista sullo stato della democrazia).

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Chiediamoci allora: l’emigrante che abita le nostre città, che “cittadino” e? L’interrogativo apre una problematica molto impegnativa: quella della configurazione dello stato nazionale o, detto in altro modo, della democrazia “oltre” lo spazio nazionale. Quindi andiamo molto al di la del problema dell’accoglienza dei migranti. E’ tuttavia importante confrontarsi con  questa dinamica giuridica e sociale, cercando una risposta a questa specifica domanda: quale cittadinanza e possibile al di fuori dello spazio statale?

La costruzione europea è, dunque, chiamata in prima persona ad affrontare una sfida enorme. E, per ora, risponde per tentativi ed errori: senza un disegno europeo condiviso.

L’ 8 e 9 ottobre, a Lussemburgo, i ministri degli Interni (e quindi: il Consiglio Giustizia e affari interni) dei 28 paesi membri hanno discusso della futura gestione delle frontiere esterne dell’UE, che include lo sviluppo della responsabilità collettiva degli Stati membri e di Frontex (l’Agenzia europea), l’utilizzo di nuove tecnologie e la questione di come migliorare l’utilizzo del meccanismo di valutazione e di controllo esistente per verificare l’applicazione di Schengen (cioè il sistema della libera circolazione tra i paesi che ne fanno parte; ad esempio la Gran Bretagna non è parte). I ministri hanno discusso anche del futuro della politica di rimpatrio. Il Consiglio dei ministri degli Interni ha ribadito che una politica coerente, credibile ed efficace relativa al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, rispetta pienamente i diritti umani e la dignità delle persone interessate, e che questa politica non si confonde affatto con azioni di respingimento (non-refoulement); e che il rimpatrio ordinato dei migranti “economici irregolari” costituisce un elemento indispensabile della politica globale dell’UE in materia di migrazione. A fronte di questa sorta di scambio (il via ai ricollocamenti – ma senza parlare di “quote”! – e azioni di rimpatrio rapide e incisive) tra i paesi “respingenti” e i paesi più “esposti” (vedi Italia, ma non solo) i ministri hanno confermato la  ricollocazione di 160.000 persone che necessitano di protezione internazionale (rifugiati-asilo) a seguito delle decisioni adottate a maggioranza il 14 e il 22 settembre scorso e hanno accolto con favore le prime ricollocazioni, che sono cominciate già il 9 ottobre 2015. Una decisione che riguarda soprattutto l’Italia e la Grecia, su cui si riversa gran parte dei richiedenti asilo. Per questo motivo si può considerare un passo avanti – almeno sul piano politico generale (si spera non generico!) – rispetto al riesame del cosiddetto principio di Dublino (“un rifugiato deve chiedere asilo nel paese di primo sbarco”) l’affermazione, fatta di fronte al Parlamento Europeo (mercoledì 7 ottobre a Strasburgo), di Angela Merkel e Francois Hollande che hanno definito “obsoleta” la regola di Dublino. Una riforma dunque è urgente. La Commissione ha, quindi, preso impegno formale a presentare quanto prima una proposta. Come si può constatare, si procede a piccoli passi e, sempre, sull’onda (è proprio il caso di dirlo) dell’emergenza. Domani e dopo domani (15 e 16 ottobre), quindi, i Capi di Stato affronteranno un ennesimo dibattito di orientamento, verso l’appuntamento della Conferenza internazionale del 11-12 novembre a La Valletta (Malta), dove la U.E, discuterà di migrazioni con i paesi africani e altri paesi chiave coinvolti.

Mario Campli

(14 ottobre 2015)

 

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