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Il futuro è il grafene?

grafeneQuando fu scoperto il grafene, si pensò di essere davanti a un materiale che avrebbe cambiato il mondo. Andre Geim, professore di fisica dell’università di Manchester, lo scoprì nel 2004 insieme con un dottorando, Konstantin Novoselov: i due pubblicarono un saggio sulla rivista Science e nel 2010 per quella scoperta vinsero il premio Nobel per la fisica. In questi quattro anni, però, i progressi inizialmente teorizzati non si sono verificati. Come spiega un lungo articolo del New Yorker, il grafene ha qualità straordinarie ma per il momento, a causa di vari problemi, viene utilizzato soltanto nelle racchette da tennis e nell’inchiostro.

Il grafene è un materiale “bidimensionale”, costituito da uno strato di atomi di carbonio legati uno con l’altro formando un reticolo esagonale. Ha proprietà straordinarie: è il materiale più sottile mai isolato, è 100 volte più resistente di un campione equivalente di acciaio ed è anche flessibile come la gomma. Lo si può allungare il 120 per cento della sua lunghezza e conduce l’elettricità 250 volte meglio del silicio, il materiale utilizzato attualmente in tutti i dispositivi elettrici. La sua struttura lo rende sostanzialmente trasparente ma è al tempo stesso impenetrabile: nemmeno l’elio, il gas nobile con gli atomi più piccoli, può attraversarlo.

La scoperta del grafene avvenne quasi per caso. Geim è specializzato in materiali di spessore microscopico e nella primavera del 2002 decise di provare alcuni esperimenti su un sottile strato di carbone: così diede a un suo dottorando, di nome Da Jiang, il compito di ottenere un campione più sottile possibile levigando un cristallo di grafite – il materiale di cui è fatto l’interno di una matita, più o meno – grosso quanto un pollice. Dopo qualche settimana Da Jiang tornò soltanto con una pagliuzza di carbone dentro a un vetrino da esperimento: non si riusciva a levigare il cristallo senza distruggerlo. Geim vide allora un rotolo di scotch usato nel cestino e gli venne l’idea di provare a metterne un pezzo sopra al cristallo per vedere se riusciva a staccarne delle piccole scaglie. L’idea era giusta e in più, piegando e ripiegando lo scotch su se stesso, si riuscivano a dividere ulteriormente gli strati di grafite, fino ad arrivare a uno strato solo: Geim aveva isolato il grafene.

Il professore, insieme a Konstantine Novoselov, passò i successivi due anni a fare esperimenti per scoprirne le proprietà per poi pubblicare il saggio “Electric Field Effect in Atomically Thin Carbon Films” (“Effetti del campo elettrico su pellicole di carbonio sottili a scala atomica”). «Era come se la scienza dei film fosse diventata improvvisamente realtà», ha detto Youngjoon Gil, il vicepresidente dell’Istituto di ricerca avanzata della Samsung.

Partì così una specie di gara a chi depositava più brevetti per trovare un’applicazione pratica alle straordinarie qualità del grafene: nel 2011 furono depositati 3018 brevetti, nel 2013 il numero era cresciuto fino a 8416. I ricercatori accademici di fisica, ingegneria elettrica, medicina, chimica e le maggiori aziende elettroniche cominciarono a fare esperimenti e a pensare a come sfruttare le qualità del grafene. Ma in questo campo passa molto tempo generalmente dalla scoperta ai risultati, il processo è lento e travagliato: il prodotto dev’essere meno caro di quelli già esistenti o considerevolmente migliore, e dev’essere possibile produrlo su larga scala. Il problema con un materiale come il grafene, pieno di qualità fantastiche, è che l’immaginazione umana ne limita l’utilizzo. È simile a quanto accadde con l’alluminio, scoperto in minime quantità in un laboratorio intorno al 1820: aveva delle caratteristiche rivoluzionarie – era leggero, brillante, resistente alla ruggine e altamente conduttivo – ma non si riusciva a trovare un’applicazione utile a parte la produzione di gioielli. Dopo la Seconda guerra mondiale si capì che l’utilizzo perfetto dell’alluminio era per gli aeroplani, che non esistevano al tempo della scoperta.

Si è pensato a un utilizzo del grafene per far aumentare la durata delle batterie, per creare schermi pieghevoli, per desalinizzare l’acqua, per costruire microcomputer superveloci e molto altro, ma per ora i soli prodotti commerciali che incorporano parti di grafene sono le racchette da tennis e l’inchiostro. Geim però è convinto che i grandi investimenti fatti e le numerose ricerche in corso porteranno nel breve periodo a una scoperta: «Abbiamo iniziato producendo frammenti microscopici di grafene, oggi si riescono a creare metri quadri di questo materiale. Il genere umano è composto da esemplari provvisti di grande inventiva».

L’azienda con più brevetti sul grafene attualmente depositati è Samsung, ma anche gli istituti di ricerca si stanno dando molto da fare: due università cinesi sono al secondo e terzo posto per numero di brevetti e al quarto c’è la Rice University (Texas, Stati Uniti), che ha depositato 33 brevetti in due anni e ha a capo del laboratorio il professor James Tour, un chimico organico sintetico. Tour lavora in laboratorio con moltissimi studenti ricercatori – 25 dei quali stanno attualmente lavorando sul grafene – che secondo il professore sono nell’età perfetta per mettere all’opera la loro creatività: «Il mio lavoro è ispirarli e provvedere alle sovvenzioni, il resto è tutto merito loro».

Tour ha spiegato anche perché c’è una corsa ai brevetti: per possedere un’idea, quando la ricerca è in questa fase, devi essere veloce e battere sul tempo la concorrenza. «Quando un ricercatore mi propone un’idea per il grafene gli dico di scriverla in meno di quarantott’ore, così da farci concedere la licenza. Poco tempo fa una delle società che ci ha concesso una licenza mi ha detto successivamente che avevamo battuto i cinesi per cinque giorni».

Tra le idee brevettate da James Tour e dai suoi ricercatori ci sono una vernice a base di grafene (che dovrebbe rendere più facile rimuovere il ghiaccio dalle pale degli elicotteri, grazie alla sua capacità conduttiva), un fluido per aumentare l’efficienza dei trapani e un materiale per rendere più leggeri gli scivoli gonfiabili e i gommoni di salvataggio utilizzati negli aerei, così da far risparmiare benzina alle compagnie aeree. Loïc Samuels, uno degli studenti di Tour, sta lavorando a un gel ottenuto partendo dal grafene che servirà da sostegno per le lesioni del midollo spinale: il grafene permetterà di far comunicare le cellule nervose grazie alla sua grande capacità di conduttore elettrico. Per ora gli esperimenti sulle cavie di laboratorio stanno dando buoni risultati, ma Tour spiega che ci potrebbero volere anni prima di un test sugli esseri umani.

Un altro dei ricercatori del team di Tour, il russo Alexander Slesarev, ha scoperto che l’ossido di grafene – che viene ottenuto quando la superficie del grafene viene ricoperta da atomi di ossigeno e idrogeno – attrae il materiale radioattivo. L’ossido di grafene si lega quindi con gli elementi radioattivi in acqua e forma una specie di fango che si può facilmente eliminare. Dopo che il terremoto e lo tsunami in Giappone danneggiarono gravemente la centrale nucleare di Fukushima, Tour mandò la ricerca ai colleghi giapponesi per testarla fuori dal laboratorio e pulire le parti contaminate con gran rapidità. I giapponesi però non riuscirono a capirne il funzionamento e fu negato il visto al ricercatore mandato da Tour per aiutarli a pulire il reattore.

Una delle qualità più allettanti del grafene è la “mobilità” degli elettroni sulla superficie del materiale, con la quale le informazioni elettroniche possono circolare con poche dispersioni di energia. Questa scoperta ha galvanizzato l’industria dei semiconduttori, che cercano sempre di miniaturizzare il più possibile il grande numero di transistor dentro a un chip: il problema è che attualmente si utilizza il silicio per farlo e, avvicinando i transistor sempre più, il silicio smette di funzionare. Il grafene potrebbe risolvere questo problema ma c’è un intoppo: i semiconduttori hanno la capacità di spegnersi e accendersi, in presenza di un campo elettrico. Il grafene, che ha un comportamento semi-metallico, non si spegne mai. Le industrie dei semiconduttori stanno cercando di risolvere il problema ma senza grandi risultati fin qui. Alcuni scienziati ritengono invece che la scienza sia già in grado di risolvere questo problema ma, dato il globale investimento di miliardi di euro di tutto il mondo nel silicio, non è il momento giusto per metterlo in pratica. IBM, uno dei maggiori produttori di chip semiconduttori in silicio, ha annunciato nei primi mesi del 2014 di aver costruito il primo circuito integrato a base di grafene per i dispositivi wireless, che potrebbe permettere la produzione di cellulari più efficienti.

Lo scienziato spagnolo Tomas Palacios, capo del Center for Graphene Devices and 2D Systems al Massachusetts Institute of Technology, è considerato il più innovativo ricercatore che si occupi di grafene: invece di cercare di utilizzare questo materiale per migliorare qualcosa che già esiste, sta cercando di inventare nuovi dispositivi. La sua idea è creare oggetti in grafene – tramite le stampanti 3D – che abbiano i componenti elettrici già costruiti all’interno. I membri della sua squadra stanno cercando di capire come integrare il grafene negli oggetti che stampano, ma non ci sono ancora riusciti a causa di alcuni notevoli problemi. Sono riusciti a capire come trasformare il grafene in un liquido – cosa non semplice visto che il grafene è altamente idrofobo e quindi forma grumi e blocca le testine della stampante: convertono il grafene in ossido di grafene, aggiungendo molecole di ossigeno e idrogeno, ma questo processo annulla le sua proprietà elettriche. Per cui una volta stampati gli oggetti dovrebbero essere riscaldati con un laser, processo che però slega i gruppi creati e fa tornare il materiale di nuovo al grafene.

Attualmente gli scienziati stanno ancora cercando di trovare un modo economico per produrre il grafene in grandi quantità. Aziende come Samsung utilizzano un metodo sperimentato presso l’Università del Texas, in cui riscaldano un foglio di rame a 980 °C sottovuoto (senza pressione) e introducono gas metano, che si deposita sui due lati del foglio di rame e quindi forma due strati di grafene (un po’ come quando si crea la brina sul parabrezza). Poi utilizzano degli acidi per eliminare il rame. Il grafene risultante è invisibile a occhio nudo e troppo fragile per toccarlo con qualsiasi cosa se non con degli strumenti progettati per la microelettronica. Il processo è lento e troppo costoso per tutti, tranne le grandi aziende.

Intanto si dice che Samsung stia pianificando di lanciare il primo dispositivo con uno schermo che utilizza il grafene per portare la corrente al display. Palacios ha commentato: «È una prima applicazione ma non deve essere per forza il grande passo in avanti che tutti cerchiamo. È un buon modo per mettere in luce le proprietà del grafene e quindi giustificare altri investimenti». Intanto uno dei suoi studenti sta lavorando a uno schermo flessibile. L’obiettivo più ambizioso di Palacios è creare degli “origami di grafene”, nei quali gli strati del materiale sono piegati come negli organuli, le minuscole strutture dentro alle cellule: «Non è così diverso da quello che succede in natura con il DNA, un materiale che ha una struttura unidimensionale che viene piegata molte e molte volte per creare i cromosomi», dice. Se questo metodo funzionasse potrebbe essere usato per stipare grandi quantità di potenza di calcolo in uno spazio minuscolo. Ci potrebbero essere applicazioni originali e importanti in medicina ma anche in una cosa che lui chiama “polvere intelligente”: «Particelle piccole come polvere avrebbero le funzionalità per dirci quanto è inquinata l’atmosfera o se c’è un virus influenzale vicino: queste cose potrebbero connettersi con il nostro telefono e dirci cosa accade intorno a noi».

 

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